Edgard Leibfried aveva 21 anni quando scomparve sul Velino. Il 26 novembre 1947 una comitiva di circa dieci “Frati Rusci”, Seminaristi del Collegio Germanico Ungarico di Roma decisero di scalare il Monte Velino. I religiosi si trovavano in zona per trascorrere alcuni giorni di vacanza e pernottavano a Magliano dei Marsi. Il gruppo si incamminò verso Rosciolo e si diresse poi per i sentieri che passavano nel Vallone della Chiave e nel Vallone dell’Orso. Probabilmente raggiunsero la vetta del Monte Velino intorno all’ora di pranzo, ma all’improvviso, come spesso accade, il tempo peggiorò. Scesero velocemente per il Vallone della Chiave, ma il maltempo ormai aveva preso il sopravvento, continuarono la discesa arrancando e uno di loro, Edgard Leibfried, nato in Lussenburgo, aveva perso contatto con il gruppo, probabilmente per la stanchezza o per un malore.
“Io ricordo molto bene questa storia, avevo 6 anni – racconta ad AZ Informa un membro storico del GEV, Gruppo Escursionisti del Velino – questi erano preti che avevano l’abito rosso e indossavano un grande cappello rosso. Passavano sempre vicino casa mia tutte le mattine. Un giorno andarono sul Velino e probabilmente era una bella giornata come oggi, il tempo era ancora buono ma lì le condizioni cambiano velocemente. Ci sono stato tanti anni e conosco bene la situazione. Arrivati alla vetta iniziò a cambiare il tempo, cercarono di riscendere e iniziò la bufera. In questi casi, si cammina uno dietro l’altro, di fretta, ci si copre il viso perchè il vento è forte.”
La parte restante del gruppo arrivò a valle ormai che era notte. Il giorno seguente squadre di ricerca si avviarono sul Velino per trovare Edgard. Anche la famiglia del ragazzo giunse in Abruzzo direttamente dal Lussenburgo ed offrì un compenso di 500 lire al giorno per sostenere le operazioni di ricerca. Nulla da fare. Il seminarista non fu trovato e le condizioni meteorologiche non furono di aiuto. Bufere, neve, vento ebbero la meglio. Troppa neve. Ricerche sospese. Solo in primavera si ripresero le operazioni.
“Arrivati in una zona che si chiama Ordicito, si scende a destra. Probabilmete il giovane prete era stato distanziato di qualche metro e proseguì senza girare e si ritrovò solo sulla schiena di questo montarozzo di montagna e gli venne in mente di trovare un riparo, ma lì purtroppo non ce ne sono. Passò il montarozzo, girò a sinistra e si riparò sotto una roccia, dove ad oggi c’è una croce. Il giorno dopo partirono tanti soccorsi e chi pensò mai che il ragazzo aveva abbandonato il percorso? “.
Solo il 26 maggio del 1948 il corpo di Edgard fu ritrovato a circa 1800 metri da due pastori che si trovavano sulla montagna con le loro pecore. Il giovane ragazzo era disteso su una roccia, appoggiato sul braccio destro e con lui una scatola di cerini consumati che probabilmente tentò di accendere nella vana speranza di scaldarsi. La famiglia di Edgard, per mantenere vivo il ricordo del proprio figlio, fece scolpire sul luogo del ritrovamento una croce sulla roccia dove il ragazzo si era accasciato. A realizzare l’opera fu un artista di Rosciolo dei Marsi, Domenico Tiberi, che insieme al figlio Giuseppe e ad un operaio, con l’ausilio di asini per trasportare il materiale, lavorarono per diversi giorni, per portare a compimento l’opera.
“Al 60° anniversario della scomparsa di Edgard, nel 2007, noi del GEV andammo lì per rendere omaggio al ragazzo che a Rosciolo lo chiamano “il frate rosso”, mentre in realtà era “il prete rosso’ “, conclude l’uomo.
Si ringrazia il GEV