Tra i settori che maggiormente hanno risentito delle chiusure dell’ultimo anno a causa della pandemia da Covid 19 non si può non annoverare quello della ristorazione. L’intero comparto è stato duramente colpito e, nonostante il rispetto preciso delle regole imposte dal Governo da parte della stragrande maggioranza dei ristoratori, mancano ancora dei rimedi adeguati che garantiscano a questo settore di lavorare, in sicurezza, ma lavorare.
Per questo i ristoratori abruzzesi di ARIA Food, Associazione ristoratori e produttori abruzzesi, hanno deciso di intraprendere delle azioni giurisidizionali: ricorrere al Tar per richiedere la sospesione dei provvedimenti adottati relativamente alla parte in cui non consentono l’esercizio dell’attività nelle ore serali in zona gialla e al Tribunale Civile per ottenere un ristoro adeguato rispetto alle perdite subite. Questa class action, però, ha anche l’obiettivo di sviluppare un protocollo ad hoc sulla ristorazione che tenga conto delle differenze territoriali e demografiche del luogo in cui una struttura ricettizia e di ristorazione si trovi.
Tra le proposte presentate il 12 febbraio scorso presso la sede del Consiglio Regionale dell’Abruzzo, gli operatori coinvolti hanno chiesto che:
– in zona gialla, sia autorizzato l’esercizio delle attività a pranzo e a cena con chiusura dei locali alle 23.30;
– in zona arancione, sia autorizzato l’esercizio delle attività per mezza giornata, consentendo al ristoratore di optare tra il pranzo e la cena, secondo le caratteristiche proprie dell’area in cui insiste l’impresa;
– che siano adottati rigidi protocolli sanitari e svolgere una più efficace attività di controllo e di monitoraggio sulla ristorazione; zona arancione, che sia prevista la riduzione ulteriore del numero dei coperti in sala;
– in zona arancione, sia individuato un criterio che consenta di distinguere tra chiusura/apertura per Comuni che possiedano un ridotto numero di abitanti e Comuni che possiedano un alto numero di abitanti, al fine di rimuovere le disparità tra piccoli Comuni e Città densamente abitate;
– siano introdotti strumenti di controllo sanitario specifici e mirati, in modo da consentire di riattivare il servizio dei banchetti;
– sia favorita una seria politica di defiscalizzazione del costo del lavoro per evitare il concreto rischio di disperdere il bagaglio professionale di ciascuna impresa e che sia reintegrato del personale per il quale il contratto di lavoro sia scaduto durante il periodo di chiusura delle attività. Medio tempore si chiede la proroga del blocco dei licenziamenti per il personale al momento in cassa integrazione.
Ad affiancare i ristoratori in difficoltà in queste istanze il professore di Diritto Costituzionale dell’Università degli Studi di Teramo Enzo Di Salvatore che ha sottolineato ad AZ Informa che non si può più far finta che il problema non sussista.
“Si tratta di un tentativo di individuare delle prime soluzioni per gli operatori della ristorazione, nel caso specifico quelli che fanno cucina di qualità, a prescindere da dove siano collocati, se nei paesini, nelle località marittime o nelle città, dove, invece, il problema è diverso e riguarda maggiormente la questione della movida – spiega Di Salvatore – Si potrebbe introdurre la prenotazione obbligatoria e gli esercenti proponenti si dicono pronti anche ad accettare misure più restrittive, ad essere sottoposti a maggiori controlli o anche una ulteriore riduzione dei coperti purchè si lavori, perchè l’alternativa è stare chiusi.“
Un elemento su cui si punta molto riguarda la necessità di diversificare poichè le chiusure hanno colpito e colpiscono in maniera indistinta e indiscrimintata ogni locale, senza però fare distinzione tra la ristorazione che si svolge nel piccolo borgo o nella grande città, o anche quella che si concentra maggiormente nella fascia oraria diurna piuttosto che serale.
“I ristoratori che si sono attivati appartengono ad una categoria di ristorazione che ha alle spalle una filiera agro-alimentare importante, con le relativa aziende, ma non solo. La questione è delicata anche perchè la manodopera che vi lavora è altamente specializzata pertanto questi lavoratori difficilmente potrebbero essere ricollocati altrove – continua il professore – Non si può fare finta che il problema non esista poichè quando questa situazione sanitaria sarà risolta probabilmente molte attività chiuderanno. Vi sono storie di lavoratori in grave difficoltà ecco perchè si procede anche tramite un ricorso al Tribunale Civile per richiedere il risarcimento del danno derivante dal mancato incasso. Non si può più far finta che non via siano altri diritti da tutelare, oltre quello alla salute”.
“Attualmente sono trenta gli esercenti abruzzesi del settore che si sono riuniti per questo motivo, ma altri se ne aggiungeranno – conclude Enzo Di Salvatore – molti in altre regioni d’Italia si stanno organizzando per le stesse richieste. Nel Lazio, ad esempio, sono oltre 60 i ricorsi al Tar contro il DPCM. Speriamo che le proposte dei ristoratori, che si rivolgono alle istituzioni regionali ma anche nazionali, possano essere discusse il prima possibile, al fine di sviluppare anche un protocollo unico sulla ristorazione che tenga conto delle diversità di ogni attività”.