Ci sono storie di persone che si intrecciano con la tradizione e i mestieri di una volta, quelle storie che meritano di essere raccontate per il coraggio impiegato nel sapere cogliere opportunità nelle cose semplici e cambiare la propria vita in funzione di esse. Si sa, avere a che fare con la natura e ogni attività ad essa connessa non è semplice. Ma quando ciò avviene è perché la passione è più grande della fatica e del sudore. Come nel caso di Valeria Gallese, originaria di Avezzano, ma trasferitasi nell’aquilano da alcuni anni per portare avanti un lavoro dimenticato da molti, quello della produzione della lana.
Valeria, giovane studentessa nella facoltà di Veterinaria all’Università di Teramo, si appassiona al mondo ovino proprio in quegli anni e decide di approfondire soprattutto la conoscenza della lana.
Leggi anche: I due volti dell’Italia a un anno dalla prima ondata di Coronavirus: cosa è cambiato?
“Quando ero all’università mi sono trovata a visitare alcune aziende ovine, maggiormente nell’aquilano e nei dintorni del Gran Sasso, territorio per eccellenza della transumanza che in passato aveva visto un gran numero di greggi spostarsi dall’Abruzzo alla Puglia, partendo proprio dal Gran Sasso – racconta ad AZ Informa – Si allevavano tantissime pecore, più o meno 7 milioni di capi, proprio per la produzione della lana. Oggi 7 milioni di capi se ne contano in tutto il Paese”.

Valeria produce e vende lana dal 2012, ma nel 2016 ha aperto la sua bottega nel borgo di Santo Stefano Di Sessanio, anticamente un dominio della famiglia toscana dei Medici che si era stabilita nel paese abruzzese proprio per acquistare la lana, riportarla a Firenze e creare dei tessuti ricercati: “Una lana molto pregiata per il tempo, morbida e alcune anche naturalmente colorate per via della presenza di pecore nere. La ‘carfagna’ era una di queste e si utilizzava per la produzione dei sai dei monaci”, spiega Valeria.
Una scelta coraggiosa che ha portato la giovane a trasferirsi in mezzo alla natura, senza nessuna forma di rimpianto, anzi, individuando opportunità dove altri non ne vedevano: “Dalla città ho fatto ritorno alla vita semplice e ho scelto di vivere in un ambiente diverso. Questi posti danno opportunità a chi le sa vedere. Prima la lana per i pastori era vista come un problema ora è diventata opportunità, bisogna saper vedere il bello dei luoghi in cui ci si trova.”
“Mi sono sempre concentrata nella selezione delle lane, a partire dal percorso di studi e mi sono appassionata – continua – Ho deciso giustamente di soddisfare la mia inclinazione, non so il perché ma è stato un richiamo naturale, chi non ha avuto una nonna che cuciva? Io ricordo ancora la mia tra mille gomitoli di lana! Per tanti motivi ho scelto questa strada e non l’ho più lasciata perché mi sono resa conto che mi permetteva di sviluppare le mie capacità, la mia creatività e anche il mio essere donna. Mi sono trovata a mio agio con questa scelta”.
La pandemia e il covid non sono state e non sono d’aiuto per nessuna forma di imprenditoria ma l’attività di Valeria Gallese, “AquiLana lana italiana“, è riuscita ad andare avanti e difendersi, nonostante le numerose difficoltà: “Prima dovevamo combattere la globalizzazione, ora il covid e tutte le conseguenze economiche che si è portato dietro: non sappiamo nemmeno se quest’anno la lana sudicia verrà ritirata. Negli anni si è acquistato soprattutto all’estero e ci si è dimenticati della nostra lana italiana. Prima di questa situazione veniva venduta al mercato internazionale, poi c’è stato un collasso vertiginoso. Ora aspettiamo che ci dicano quando poter riaprire, nel frattempo sono concentrata sulla vendita online e sulla mia famiglia. Prima della pandemia il lavoro in bottega si condensava nel periodo primaverile, estivo e nei primi mesi autunnali, perché in inverno non c’è molto turismo in paese. Da quando c’è il covid è tutto cambiato”.
La lana che Valeria compra dagli allevatori e dai pastori del territorio viene dapprima scelta, poi raccolta e spedita in un’azienda di Biella dove viene lavata e filata. Il processo prosegue poi con la colorazione che avviene attraverso sostanze naturali, come le piante, le radici, i fiori e le cortecce. La tintura che ha fatto conoscere la giovane abruzzese in tutta Italia, però, è stata quella con il vino Montepulciano. L’insieme di queste fasi, sotto l’attento controllo dell’imprenditrice, permette di ottenere un risultato finale di altissima qualità e totalmente Made in Italy: “Lavoro la lana dal 2012, anno in cui ho trasformato i miei primi 100kg. Oggi a distanza di quasi 10 anni ne ho ritirato 6600 e mandate a trasformazione 6016. All’inizio ho cominciato da quelle di famiglia, ma poi ho dato l’opportunità anche ad altri allevatori. Parlo di ‘opportunità’ perchè il prodotto che loro mi vendono non viene sottopagato e mi accerto che la tosatura dell’animale avvenga in maniera libera perché è importante soprattutto il rispetto nei confronti dell’animale. Non è stato facile arrivare dove sono ora e, soprattutto per una donna, inserirsi in un mondo prettamente declinato al maschile, ma sono qui a raccontare la mia storia e sono contenta della scelta che ho portato avanti”.
La trasformazione e la vendita della lana non coinvolge solo l’impresa di Valeria, ma tante altre piccole realtà del territorio abruzzese e non solo, così da creare una rete di lavoro che ha pochi esempi nel nostro Paese, soprattutto in questo periodo.
“Collaboro con molte altre persone del territorio, ma mi sono estesa anche a Puglia e Molise. Mando la lana a trasformazione nel biellese perché sono bravi, mi garantiscono la tracciabilità del lotto, rispettano le norme comunitarie. Avrei potuto mandare la lana all’estero a costi inferiori ma se un prodotto deve essere Made in Italy, lo deve essere in ogni sua parte e in ogni sua fase della lavorazione”.
Leggi anche: Abruzzo, ora il kit Artva in montagna è obbligatorio. Liris: “Forme sia d’insegnamento”