Le ragioni politiche
Non è tutto sbagliato. Le ragioni ci sono. Italia Viva riconosce alcuni limiti strutturali del Recovery Plan. Non è chiaro l’indirizzo di spesa nel settore dell’istruzione, né sembrano sufficienti gli esili 3 milioni di euro da investire nel comparto turismo e cultura (la Germania ne prevede 35), ambito di sostentamento nevralgico per un paese d’arte e di paesaggi come l’Italia. Poi ci sono i “blitz notturni”: dai Dpcm alle circolari, alle e-mail. E quella solitudine operativa, condivisa solamente con l’ormai famoso CTS. La verità è che le sorti dei 209 miliardi del Recovery Fund segneranno il volto nazionale per i prossimi cinquant’anni. Una tale manovra economica deve al Paese la migliore delle previsioni possibile. La portata del fondo è inimmaginabile. Basti pensare che nell’ultimo decennio le risorse stanziate non hanno raggiunto i 15 miliardi annui. Il tesoretto (o miniera d’oro) ha il potenziale per investire in maniera imponente nel rifacimento tecnologico del tessuto sociale e occupazionale dell’intera nazione. E se tutto questo non è un gioco di colore, allora devono essere chiamate in causa tutte le parti politiche, dal Parlamento alle regioni, ai comuni.
I capricci di partito
Il punto è capire se la mortificazione dei consensi di partito sia la causa o la conseguenza del comportamento lesionista di Italia Viva. Quando Renzi ha chiesto a Conte nuovi scenari di intervento nel Recovery Plan, molto è stato fatto. La maggior parte delle modifiche alla stesura del piano sono state inserite. Ha fatto il giro d’Europa l’sms che il Presidente del Consiglio ha inviato a Renzi il giorno dell’Epifania: “Matteo ti chiamerà Gualtieri per aggiornarti sulla revisione del Recovery plan. Mi sembra che tenga conto di molti vostri suggerimenti”.
Una perseverata insoddisfazione renziana ci può stare, ma fino a che punto si è spinta? Oltre il limite. Ecco allora che il Recovery è stato galeotto per cambiare gli equilibri di potere.
Per uno (Renzi) che ha fondato il suo partito a metà strada tra tutte le parti politiche, la figura di Giuseppe Conte deve risultare scomoda. Il “professore” rappresenta un profilo di difficile collocazione nei piani politici di Italia Viva. Le cose cambierebbero se al pari di una discesa gestionale di Conte seguisse una presa di potere nell’ambito del Recovery da parte di Renzi stesso. Ma cosa accadrebbe se tra le diverse ipotesi di scenario si arrivasse a quella annunciata come meno probabile, le elezioni anticipate? Che ne sarebbe della sua poltrona in Parlamento?
Renzi e quello straordinario esercizio di retorica
Da un lato la dialettica politicamente accattivante, nei toni, nella gestualità, nella metrica. Da buon toscano non ha tradito l’arte della retorica, al contrario. Poi, a conclusione della conferenza stampa nella quale ha annunciato le dimissioni delle sue ministre, ha giustificato l’apertura della crisi di Governo toccando tasti socialmente e ideologicamente manifesto di una visione garantista e fondamento del mondo libero.
La leva della presa di posizione di Italia Viva è stata il mancato rispetto delle sedi istituzionali da parte di Conte. Un modus operandi incondivisibile in un un contesto politico democratico. “Se questo è il sistema, vogliamo rivendicare il diritto di non farne parte”, e da qui l’altro pilastro argomentativo. La missione di fede. E ancora il body shaming alla Bellanova e le rivendicazioni femminili.
Gli attori di contorno
Le ministre Bellanova e Bonetti sono state la miccia. Le esponenti di Italia Viva che, ricordiamo, si insediarono al Governo in quota PD, hanno giocato il buono e il cattivo tempo. Le loro dimissioni hanno rimesso alla conta i numeri di Conte. Si sono poste in controtendenza rispetto al sì unanime di tutti gli attori politici chiamati a decidere sul Recovery Plan. Il punto di non incontro, a detta loro, è la questione MES. Ragione incompresa dai colleghi ministri, su tutti quello all’Economia, Roberto Gualtieri, che ha affermato in una nota: “Il Mes non ha nulla a che vedere con il programma Next Generation. In ogni caso non avremmo a disposizione risorse per investimenti aggiuntivi”. Qualora Renzi provocasse la fine di un equilibrio già precario, il Governo non sarebbe più nella condizione di svolgere il proprio lavoro».
Immediato l’intervento del Ministro della Salute, preoccupato per la crisi sanitaria, evidentemente non solo per via dell’ambito di interesse. “Non c’è altra strada diversa dall’unità per affrontare questa emergenza, la più grande dal dopoguerra. Ecco perché mi rivolgo alla maggioranza e all’opposizione”. Troppo tardi.
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