Lavorare da casa, nella modalità dello smart working, non sempre semplifica la vita, anzi. La procedura, divenuta sempre più frequente e inevitabile negli ultimi dodici mesi per via della pandemia che ha costretto aziende, lavoratori statali e liberi professionisti a rimodulare le proprie abitudini professionali, non sembra aver superato il banco di prova con giudizi unicamente positivi. Anzi, in molti accusano un aumento della mole di lavoro a dispetto di un retribuzione che non corrisponde allo sforzo sostenuto, sia in termini di energie fisiche che mentali.
Questa “nuova” modalità di lavoro è ormai sempre ramificata nel modus operandi degli italiani, un po’ per scelta, un po’ per necessità. Ma non è detto che a pandemia finita si possa tornare alle abitudini precedenti a essa. Sono circa 5,3 milioni gli italiani che lavorano in smart working. Un’indagine Nibol di qualche settimana fa, basata su un campione di 20.000 lavoratori, ha rivelato che tale opzione non è la preferita dagli stessi. Anzi, per alcuni, lavorare da casa è una vera e propria tortura. Solitudine, eccessiva sedentarietà, condivisione forzata degli spazi casalinghi, impossibilità di interagire con altri colleghi sono alcune delle complicazioni connesse a tale soluzione lavorativa.
Secondo una recente ricerca dell’università di Harvard, frutto dello studio sulle e-mail di più di 3 milioni di persone sparse in quasi 20 città del mondo, chi lavora in smart working spende in media 49 minuti in più al giorno di chi sta in ufficio. Inoltre, analizzando i dati resi noti da Eurofound si potrebbe affermare che chi lavora a distanza ha il doppio delle probabilità che i lavoratori in ufficio superino le 48 ore settimanali dell’UE. Quasi un terzo dell’esercito remoto lavora nel tempo libero più volte alla settimana, rispetto a meno del 5% degli impiegati.
Così Riccardo Suardi, fondatore di Nibol: “Nibol nasce per aiutare gli smartworker a trovare postazioni di lavoro in luoghi diversi da casa, come caffetterie, coworking o sale riunioni a tempo. Prima delle restrizioni l’opzione di lavorare in un bar era un’alternativa apprezzata dagli smartworker perché rappresentava una soluzione a diversi problemi emersi durante l’indagine”.