Si allunga inesorabilmente la lista delle vittime attribuite, a torto o a ragione, al COVID-19. E sempre più elevato è il numero degli anziani che figurano tra le righe del penoso elenco quotidiano. Eravamo il paese che poteva vantare il più alto indice di longevità dei suoi cittadini, ne andavamo fieri. Ma ora stiamo perdendo questo prezioso patrimonio. Dire che stiamo perdendo una generazione è un’espressione commovente, ma tuttavia non rende a mio avviso l’idea del patrimonio umano che stiamo perdendo.
Questi anziani che se ne vanno in silenzio e solitudine, non sono una generazione qualsiasi, ma sono la generazione della Repubblica, della Democrazia, della Costituzione, della ricostruzione, della creazione del benessere. È la generazione che ha vissuto in prima linea gli anni di piombo; le donne di questa generazione sono coloro che hanno condotto le battaglie per l’emancipazione, che hanno garantito a tutte le loro figlie o nipoti, diritti che non erano mai stati sanciti. È la generazione delle lotte sindacali, dei grandi dibattiti sui diritti e sui doveri. È la generazione del libro di carta, quello fatto di pagine da sfogliare sul quale appuntare i propri pensieri; della penna, del diario, degli album fotografici.
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Già, quegli stessi album nei quali le fotografie a volte si staccano, ma che in realtà sono luoghi nei quali possiamo continuare ad incontrare la memoria dei volti, dei luoghi e delle nostre radici. È la generazione del grande teatro, fatto di interpreti immensi, di emozioni condivise, di cultura tramandata: dei musei, della grande arte da vivere. È la generazione dei fedeli e praticanti, ma anche di coloro che si sono battuti per affermare il valore della laicità dello Stato e della vita. È la generazione degli abbracci dati e spesso non ricevuti, degli affari siglati con una stretta di mano. È la generazione degli orti nei paesi e nelle città, luoghi in cui hanno cercato di tramandare un timido ma costante amore per la terra. È la generazione delle nonne e dei nonni il cui impegno costante di cura dei nipoti ha permesso alle madri di sperimentare sé stesse nel mondo del lavoro. È la generazione delle favole, del dialetto, dei riti di condivisione familiare nei giorni di festa. È la generazione di coloro che hanno spinto i propri figli a studiare, a laurearsi, ad impegnarsi nella vita per avere un ruolo dignitoso. Non si tratta soltanto di una generazione, ma di un incredibile patrimonio umano e sociale.

Sono i nostri genitori, i nostri nonni, soprattutto sono i depositari di un modello sociale culturale dentro al quale abbiamo vissuto sino adesso e che costituisce la nostra stessa identità. Impacciati forse nella modalità virtuale e veloce dell’oggi, ma a proprio agio dentro alla vita come dei guerrieri avvezzi alla lotta. Eppure hanno nella dolcezza la loro forza più grande. Da mamma o papà possono forse aver commesso qualche errore, dovuto peraltro alla naturale inesperienza: genitori non si nasce… Ma da nonni i nostri anziani sembrano cambiare pelle. Non ci sono sacrifici o dolori della non più giovane età che impediscano di prendersi amorevolmente e teneramente cura dei nipotini che gli vengono affidati. Sorprendono per la loro vivacità ed anche per la loro vitalità nel gestire diavoletti che nelle loro mani si trasformano in docili agnellini.
Bocca aperta, come il becco di un passerotto che attende l’imboccata dalla mamma, così sono rapiti dalle storie interpretate da attori consumati, capaci di trasmettere scorci di saggezza di vita imbevute di fantastiche avventure. Capaci anche di trasformarsi nei personaggi più amati dai loro piccoli ed imbastire ore ed ore di gioco, senza tregua, quasi senza respiro. E certo non si fanno scorgere con il volto segnato dall’immancabile fatica, sempre pronti a ricominciare da capo. Che meraviglia per i nostri nonni vedersi correre incontro quei nanetti con le braccia aperte e con sul volto stampato un sorriso che profuma di amore, di amore vero. E quanta ricchezza questi impagabili canuti trasmettono alle generazioni che li soppiantano nel ciclo vitale dell’esistenza umana.
Ora li perdiamo senza averne coscienza. Non si parla qui di sentimenti: solo chi lo ha provato può capire cosa significhi perdere un papà, una mamma, un nonno. E oggi forse senza neppure poterli accompagnare o anche soltanto salutare, come è capitato in questi ultimi, se vogliamo drammatici mesi, comunque destabilizzanti. E non è ancora finita. Custodiamoli con amore quelli che ci sono rimasti accanto. Difendiamoli con coraggio, con tenacia, a costo di qualche rinuncia, di qualche sacrificio. Ma non emarginiamoli, costringendoli a rinchiudersi in casa chissà per quanto tempo. Difendiamoli nella loro fragilità tenendo un comportamento che va al di là dell’impegno civico, del rispetto delle disposizioni delle autorità, al di là di ogni sospetto di complotto. Difendiamoli con quella devozione che si sono silenziosamente conquistati senza nulla pretendere, con quell’amore che ci hanno trasmesso rinunciando a volte a sé stessi. Essi sono non solo il nostro passato, sono il nostro presente, sono il nostro futuro.