Resistere. Ignorare. Trascurare. È con questi tre verbi che possono descriversi i tre più pericolosi atteggiamenti nei confronti di un disturbo d’ansia. Atteggiamenti così diffusi da portare la percentuale di persone che li mettono in atto, incredibilmente vicina a quella di chi cerca invece di curarsi. Come a dire che, per ogni persona che cerca di affrontare la propria ansia, ce n’è una che non lo fa: tra questi c’è chi resiste stoicamente, facendone un merito quasi eroico, basato sull’idea che io sono più forte di lei e che prima o poi passerà; chi fa finta di niente, non degnandola di attenzione né considerandola portatrice di qualche significato, basandosi sull’idea che i disturbi psichici non esistono e sono paturnie; e chi rimanda a tempo indefinito una possibile cura perché non riesce a fermarsi a prendere in mano la situazione, o perché c’è sempre qualcosa di più importante di cui occuparsi. Invece, se è persistente, l’ansia è un disturbo che va sempre preso in seria considerazione, per tre motivi: il suo messaggio, il danno alla qualità della vita, i danni alla salute.
Se l’ansia è presente e persistente c’è sempre un motivo. Non insorge per caso. Certo, a volte è difficile da individuare, ma non approfondire il problema espone a rischi notevoli. Può verificarsi un progressivo incremento del sintomo nel corso del tempo, fino a quando si dovrà per forza intervenire con misure più drastiche. Oppure l’ansia finisce per cronicizzarsi, diventando un modo costante di affrontare la realtà. E si finisce per individuare cause che in realtà non sono tali, e quindi per non comprendere cosa stia accadendo veramente alla propria vita. Ma l’aspetto forse più sottovalutato è il fatto che l’ansia frequente o persistente finisce, nel tempo, per logorare l’organismo.
Ogni volta che siamo in ansia, infatti, il corpo partecipa in modo pieno e attivo. Il battito cardiaco aumenta, così come la pressione arteriosa, la secrezione di adrenalina e di cortisolo nel sangue, il tono della muscolatura, la sudorazione, e via dicendo. Si innesca, ogni volta, un concerto di reazioni bioelettrochimiche che sostiene l’attacco o lo stato d’ansia: una mobilitazione dei meccanismi più arcaici e al contempo più raffinati, legati alle risposte psico-corporee di adattamento e di sopravvivenza. Ebbene, se questo innesco avviene in modo intenso e frequente per molte volte, perché non ci prendiamo cura di questo disturbo, il nostro organismo può andare incontro a problemi. Problemi lievi, moderati o, talora, anche importanti, di cui poi dovremo necessariamente occuparci.

Ecco allora che, se si soffre di un disturbo d’ansia, prendersene cura significa svolgere una preziosa opera di prevenzione. Potremmo dire in fondo che, insita in ogni forma di ansia, ci sia una richiesta di porre l’attenzione sulla nostra sopravvivenza e sulla qualità della vita. È come se, dal futuro, arrivasse un amico che attraverso l’ansia cercasse di dirci: “guarda che stai vivendo una situazione di pericolo e di danno che, se protratta, ti creerà problemi ancora più importanti”. Ascoltarlo e intervenire per comprendere e per curare significa cambiare il futuro, fare in modo che le cose non vadano verso una deriva pericolosa, non solo per la psiche, ma anche per il corpo. Questa è l’essenza dell’approccio psicosomatico: comprendere che un sintomo specifico, in realtà, riguarda noi per intero e agire di conseguenza per occuparci dell’intero che siamo.
Dopo un po’ che non si fa niente per curare l’ansia, la psiche, in automatico e senza che ce ne accorgiamo, è costretta a mettere in atto dei meccanismi di compenso con cui tenere in piedi la personalità. Meccanismi che, ovviamente, essendo prodotti in urgenza e senza consapevolezza, non potranno che essere delle nevrosi, cioè delle misure di compromesso. È così che nascono molte delle sindromi da evitamento: la persona, senza rendersene conto, inizia a evitare tutte quelle situazioni a rischio-ansia e così, nel giro di poco, si crea una griglia di evitamenti che riduce sensibilmente la libertà di movimento e la capacità decisionale. In tal modo si evita sul momento una crisi d’ansia acuta, ma, nel tempo, il carico d’ansia da “non vita” o da “vita repressa” non può che aumentare ancora, in un circolo vizioso che deve assolutamente essere spezzato. Tra l’altro è in questa griglia, che imbroglia la vita, che può sorgere, comprensibilmente, una sindrome depressiva.