Prima o poi arriva: in campo lavorativo sentimentale, familiare o personale, la crisi spazza via le certezze. Ma se la tratti bene, è il passaggio necessario per dare spazio a una grande rinascita.
La crisi è un’esperienza connaturata all’uomo. Ogni volta che si è presentata una difficoltà, con la caratteristica di sembrare sul momento senza soluzione apparente, ecco arrivare la crisi, in forma di scoraggiamento o di sgomento, di disorientamento, di blocco, di non saper cosa fare.
Crisi è una parola che deriva dal greco antico e, prima ancora, da antiche lingue indoeuropee, e il suo significato ruota intorno ai concetti di discernimento, di giudizio, di scelta e di fase decisiva, e ciò conferma quanto costituisca per l’uomo un momento fondamentale, dalle caratteristiche ambivalenti: nasce con il crisma del pericolo, ma può trasformarsi in opportunità. Di certo mette ognuno di noi a confronto con qualcosa di ignoto, perché interrompe il flusso di vita vissuto fino a lì, e non indica una via d’uscita ma, obbligandoci a trovarla, stimola pensieri e intuizioni che, altrimenti, non avremmo mai avuto.
Quindi, anche se nessuno vorrebbe mai cadere in crisi, bisogna riconoscere che la stragrande maggioranza di progressi e cambiamenti positivi alla sua radice proprio in quel fenomeno che, sulle prime e a volte anche più a lungo, ci fa soffrire. E se nel lontano passato era perlopiù determinata da fattori esterni come difficoltà pratiche legate ai bisogni primari, con l’ampliarsi della coscienza e della complessità ha cominciato a manifestarsi sempre di più sulla base di conflitti interiori, di stati d’animo contraddittori, di bisogni dell’anima. Tanto che, a un certo punto, In Occidente è nata la psicanalisi, come risposta e possibile rimedio alle sempre più frequenti crisi di tante persone in un mondo – quello di fine 800 e inizio 900 – che aveva ormai imboccato la strada dell’industrializzazione e del progresso esponenziale, con tutti i vantaggi gli effetti collaterali sulla psiche umana. La crisi, perciò, oltre a esprimere difficoltà pratiche, oggi si configura spesso come crisi esistenziale. Potremmo chiamarla crisi personale, cioè relativa alla persona nel suo insieme, che affronta la vita dentro e fuori da sé.
E proprio la sua valenza esistenziale, anche quando causata da frustrazioni dovute a difficoltà esterne, a rendere spesso le cose più complicate. In fondo il mondo interiore è molto più vasto e sconosciuto di quello esterno, e riuscire a risolvere una crisi al suo interno significa incontrare stati d’animo ed emozioni ignote, paure, pensieri inaspettati e parti sconosciute della propria personalità. Ecco perché si rende necessario migliorare nella gestione delle crisi personali: ci sono ancora molti pregiudizi, molta scarsa conoscenza di come vadano affrontate. La psicoterapia è il luogo simbolo per trasformare una crisi in un’opportunità, ma si può tuttavia anche fare da soli. Anzi, l’esperienza della solitudine davanti alla crisi costituisce un momento fondamentale di crescita personale e di consapevolezza. Quale rapporto, infatti, si stabilisce tra la persona e la sua crisi? È assai importante, innanzitutto, che si stabilisca davvero, che si entri in vera dialettica con la propria difficoltà, senza nessuno che, dall’esterno, influenze questo aggancio indispensabile affinché il dialogo interiore inizi, pur nel disorientamento e nella paura. Già solo da quest’ultima osservazione vediamo quanti errori strategici si possano fare, fin dall’inizio, nell’affrontare una crisi. Ad esempio: chiedere subito un aiuto senza attingere alle proprie risorse. Si tratta di un errore fondamentale tipico dei nostri giorni e dovuto a due fattori. Il primo è l’abitudine alla facilità, che nasce viene fomentata dalle tante comodità tecnologiche di oggi che riduce fortemente la nostra capacità di attendere, di gestire la frustrazione di concepire la crisi come fatto naturale e necessario. Il secondo è la sempre maggiore difficoltà a stare da soli con se stessi, a causa della connessione digitale pressoché continuativa virgola che induce a mettere tutto in piazza non appena ci accade qualcosa, impedendoci di conoscerla a fondo e riempiendoci di consigli e pregiudizi di ogni tipo. Si è arrivati così, paradossalmente, all’ esigenza di proteggere la crisi, in modo da poterle incontrare per ciò che costituisce realmente per le eventuali opportunità che essa porta con sé. Proteggere qualcosa che non si vorrebbe affrontare, per poterlo fronteggiare e uscirne con “più noi stessi”. A seconda di casi: con più consapevolezza, con una situazione più adatta alle nostre esigenze, con un orientamento più in linea con la nostra natura, con una migliore qualità delle relazioni, con più spazio/tempo per noi, con obiettivi e priorità più chiari. La crisi ci chiede un cambiamento che non avremmo fatto, verso il quale eravamo passivi. Vivere bene una crisi, quindi, non significa negare la sofferenza che essa ci produce, ma andare oltre per intuire nuove prospettive del nostro vivere. Per questo è un momento sacro e nessuno, neanche noi stessi, dovrebbe impedirci di incontrarla e trasformarla.