Come accade periodicamente, il dibattito sui diritti animali si è riacceso nel nostro paese. In occasione dell’inserimento della tutela dell’ambiente nell’articolo 9 della nostra Costituzione, da più parti si chiede venga dichiarato anche il riconoscimento dei diritti degli animali, in particolare il loro essere senziente, secondo la dizione dell’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come già altre costituzioni europee hanno fatto. Li ha definiti esseri senzienti anche il Regno Unito dove sono già illegali le gabbie in batteria per i polli e quelle da gestazione per maiali, così anguste da impedire alla femmina di muoversi e, dopo il parto, di prendersi cura dei piccoli. La recente riforma britannica delle leggi sul benessere degli animali riconosce loro dei diritti e introduce una serie di tutele per gli animali, dalle condizioni di allevamento al trasporto. Una battaglia di diritto che può poggiare su solidi studi di cognizione animale i cui risultati da tempo suggeriscono la necessità di cambiare attitudine e comportamento verso gli animali, in particolare quelli da reddito come bovini, maiali, polli e piccoli ruminanti. Sapere come percepiscono l’ambiente e come ci interagiscono è decisivo per le implicazioni etiche e anche pratiche del loro trattamento.
Nelle fattorie di una volta gli animali avevano nomi, pascoli in cui pascolare, fango in cui sguazzare o sabbia in cui prendere la polvere. La vita era tutt’altro che idilliaca, ma era sensibilmente migliore di quella di oggi, quando rinchiudiamo vitelli e maiali in strette casse di acciaio inossidabile, stipiamo polli a migliaia in capannoni senza luce naturale e spesso non lasciamo nemmeno più pascolare le mucche all’aperto. Invece le teniamo in piedi nei loro stessi rifiuti. Poiché questi animali sono perlopiù tenuti fuori dalla vista, raramente la gente vede le loro miserabili condizioni. Infatti, pur con un certo ritardo rispetto alle altre specie e inizialmente interessata solo a questioni relative al benessere nell’allevamento intensivo in chiave economica, la ricerca ha finito per mostrare il possesso negli animali di varie capacità cognitive e sociali. Si va dall’abilità numerica all’uso di strumenti, a fini capacità di discriminazione e riconoscimento individuale, di apprendimento sociale, di attribuzione di intenzioni, di percezione del tempo e perfino di un senso di equità.
Molte specie, tra cui i maiali, sanno anticipare l’accadimento di eventi positivi e negativi guardando al comportamento degli esseri umani e alle reazioni emotive degli altri animali, perfettamente in grado di comunicare, gestire e condividere i propri stati emotivi. Chiaramente, per chi sta in gabbia, questo significa spesso vivere nell’ansia e nel timore e non in una beata inconsapevolezza come molti fingono ancora di credere. “Il bestiame reagisce anche a spunti comportamentali molto sottili dei conspecifici e degli umani”, si legge in una revisione apparsa su Frontiers in veterinary science, che denuncia la “mancanza di informazioni su alcuni aspetti delle capacità fisico-cognitive nella maggior parte delle specie di animali d’allevamento”. Gli scienziati sostengono che gli animali che finiscono nel piatto comprendano intenzioni e comportamenti e sperimentino disagio emotivo, tra cui noia, stress e paura. A noi il compito di tenerne conto in ogni ambito, etico, legislativo e anche nelle quotidiane scelte individuali.