Ci vuole tempo a distaccarsi dalle esperienze vissute, soprattutto quando sono così forti. Il richiamo a rivivere quell’adrenalina è molto forte. Hai vissuto in mare, hai incrociato tutta l’umanità in un ponte di una nave, hai conosciuto la sofferenza e la pietà, la speranza e l’angoscia.
Ho conosciuto colleghi meravigliosi in un tempo dilatato e profondo: abbiamo imparato a capirci con uno sguardo, dal tono di voce o dalla postura, in una dinamica per cui la comunicazione non verbale fa la differenza. In un sistema così complesso e multiculturale come quello della nave quarantena gli occhi sono il punto di contatto più importante; il punto in cui tutto transita: paure, angoscia, serenità, quiete. Non si litiga mai davanti agli ospiti, si trasmetterebbe un modello diseducativo ed in realtà non si litiga neanche lì dove si potrebbe, negli spazi riservati all’equipe. Non sono mancati momenti di tensione ed è anche normale, ma alla fine ogni dissapore ha lasciato spazio alla concretezza dei nostri gesti.
Fare la telecronaca giorno per giorno della mia missione, o meglio delle mie emozioni legate a questa missione, è stata un’opera alla quale ho dovuto rinunciare subito. Sulla nave manca il tempo per fare tutto. E quando il tempo c’è, c’è anche sempre qualcuno da aiutare o qualcosa da fare.

Purtroppo, non sono mancati giorni di dolore imprevisto, come se la nuova frontiera di sofferenza che ogni operatore ha incontrato non fosse abbastanza. Ci si è messo anche il mio collega Giorgio, che il 23 aprile ha deciso di andarsene, in silenzio. Per alcuni giorni la nave si è fermata, per fortuna, in un momento in cui avevamo sbarcato gli ultimi ospiti a bordo. E lì si è visto il gruppo, fatto di persone che sono riuscite a superare un dolore immenso supportandosi a vicenda. In realtà anche il gruppo di GNV è stato encomiabile e non ci ha lasciati soli. Poi sono tornati gli ospiti e così il tempo ha ripreso a correre e le nostre menti a riempirsi di compiti ed impegni da portare a termine.
È stata un’esperienza bellissima anche se provante soprattutto sul piano emotivo. Provante perché ho ascoltato storie che sembrano impossibili appartenere ad una dimensione umana, nel 2021. Ho visto occhi spaventarsi per un sorriso, come se non ci si potesse neanche più fidare di un sorriso. Tante volte ho scritto sul mio profilo Facebook che la cosa che forse mi ha colpito di più è che la maggior parte degli ospiti parlasse di sogni e speranze e poco di dolori e ansie, nonostante le loro storie fossero atroci.
Ci sono lacrime di gioia e lacrime di tristezza. Lacrime di rabbia e lacrime di orgoglio. Lacrime di empatia e lacrime di addio. Le lacrime che ho pianto nell’abbandonare la nave sono state un misto di emozioni unite ad una profonda gratitudine. Non avevo mai pianto prima di gratitudine.
Un grazie a tutti e tutte coloro che hanno vissuto questi giorni con me su quella nave in mezzo al mare senza mai poterlo toccare. Un grazie a tutti i sorrisi, di qualsiasi colore, perché il sorriso non ha una razza o un solo colore. Un grazie per chi mi ha aperto il suo cuore raccontandomi l’arcobaleno di colori che custodisce all’interno, tra gioie, tragedie e voglia di donare. Un grazie per tutte le emozioni provate, che di giorno in giorno mi hanno fatto scoprire tanti lati di me che finora non conoscevo, e un augurio di serenità a tutti i migranti che ho incontrato, le cui storie si sono intrecciate con la mia, con la speranza che possano trovare la pace che meritano.