Crisi sanitaria e crisi economica come fattori determinanti per il crollo dell’occupazione femminile nella seconda metà del 2020. Lo rivela l’Istat che rende noti dati allarmanti. Lo scorso anno, dal momento dell’applicazione delle misure per contrastare la pandemia, sono stati persi più di 420mila posti di lavoro. Solamente a dicembre ne sono stati circa 101mila, in prevalenza tra le donne e lavoratori autonomi. L’ultimo mese dell’anno si è contraddistinto per le zone rosse sparse in giro per il Paese e per le misure anticontagio per affrontare le festività natalizie.
Le stesse che ora sembrano pagare, però. D’altronde i numeri parlano chiaro: le terapie intensive non sono in affanno come nei mesi precedenti e il numero complessivo di contagi e decessi è sceso in maniera importante. Ma se la crisi sanitaria, anche grazie alla campagna di vaccinazione che, se pur a rilento, è stata avviata già da un mese, prosegue incessante nel fare danni al Paese, quella economica e quindi occupazionale non è da meno. Si tratta di un’emergenza nell’emergenza, che preoccupa, spaventa e alimenta timori e incertezze.
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Il blocco dei licenziamenti c’è stato, così come la cassa integrazione e i ristori, ma l’emorragia lavorativa sembra inarrestabile. Durante l’ultimo mese dell’anno sono andati perduti circa 16mila contratti a tempo indeterminato. Gli ultimi dati dell’istituto di statistica registrano la forte crisi del lavoro femminile. In un solo mese, tra le lavoratrici, si contano quasi 100mila occupazioni femminili in meno.
In un anno ne mancano addirittura 312mila. Questi numeri sono gravi, preoccupanti, perché il tasso di occupazione femminile in Italia scendo ben oltre al 50%. La fascia d’età più colpita è quella che vai dai 35 ai 50 anni. Si alza anche la disoccupazione femminile, ma a preoccupare è anche l’elevato numero di inattivi, cioè di coloro che per svariate ragioni – su tutte la sfiducia – non cercano lavoro.