Un declino lento e costante dei vecchi, sani, nobili mestieri, accelerato dall’impennata tecnologica del secondo decennio del 2000 e palesato dal fermo imposto dalla pandemia.
Lo spaccato del dopoguerra, sino a metà degli anni novanta, quando lo sviluppo tecnologico ha travolto e stravolto il concetto del “lavoro”, è più simile ai dogmi professionali di inizio XX secolo. Il nuovo millennio ha rasentato il distacco totale, se non fosse per l’oggettiva difficoltà dei vecchi mestieranti di disporre del nuovo know how digitale. Seppur lento per alcuni, il ricambio di metodo non si è mai arrestato. Nuovi standard, nuovi strumenti, nuove prospettive. In questo particolare contesto i lavori artigianali sono quelli che, più di altri, hanno mostrato disagi di convivenza con le nuove automazioni.
I numeri affossano la spinta artigiana dell’Abruzzo
Secondo i dati raccolti da Cgia, nell’ultimo decennio le aziende costrette a chiudere i battenti sono state 178.664, peri al 12,2%. L’Abruzzo emerge in negativo, attestandosi al secondo posto, dopo solo la Sardegna, nella classifica delle regioni che hanno segnato la diminuzione del numero di imprese artigiane, con una contrazione pari al 18,8%. Seguono l’Umbria (-16,2%), il Molise (-16,1%) e la Sicilia (-15,9%). Numeri allarmanti, che spiegano la stima della perdita di fatturato – pari ad almeno 7 miliardi di euro – che a livello nazionale le imprese hanno subito solo in occasione del primo lockdown del 2020.
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L’evoluzione dei mezzi e il calo del valore economico del prodotto
Proviamo a fare un esempio. Il Calzolaio di una volta, così come lo conosciamo, rientra in quel gruppo di mestieri di cui non si poteva davvero fare a meno. A fronte di un’offerta prettamente made in Italy, di un’artigianalità rigorosa e, di contro, di un costo del prodotto rispettoso della qualità dei tessuti e della manodopera, il calzolaio era colui che ci metteva nella condizione di sfruttare oltre l’usura il nostro amato paio di scarpe. Oggi, in un mondo ultra consumista, in cui l’import ha allargato il ventaglio di scelta e abbassato la base d’acquisto, conviene più ricorrere ad un nuovo acquisto che spendere soldi per riparare un prodotto che ha avuto il suo corso. Ecco come si estingue un mestiere. Attenzione però. Non è detto che le competenze dei vecchi artigiani non possano essere trasformate per assecondare le esigenze del nostro tempo. I nuovi “artigiani della scarpa” sono chiamati ad impiegare la propria manodopera in settori specializzati, “top quality”.
Il cambiamento del concetto professionale dell’artigiano
Pensate che la Scuola delle Professioni di Bari ha ridisegnato la figura del professionista di un mestiere chiave, come quello del calzolaio, evolvendone l’immagine e le competenze. Sul sito ufficiale dell’accademia troviamo infatti una sezione dedicata in cui il vecchio “scarparo” viene così presentato:
Il calzolaio è il “tecnico della scarpa”, cioè un professionista artigiano che, utilizzando pochi strumenti, crea , ripara, incolla calzature di qualsiasi genere. Il calzolaio decide quale tipo di cuoio, pelle naturale o sintetica, gomma, sughero e stoffa utilizzare per le sue riparazioni o creazioni.
E ancora, tra le materie di studio:
- Storia della scarpa, Composizione, Tecnologie e Strumenti di base
- Macchinari, Tecniche di riparazione e impermeabilizzazione
- Materiali di utilizzo per la pulizia e lucidatura
Cosa vuol dire? Mestieri come il calzolaio sono destinati a scomparire a meno che non ne venga riconosciuta la preparazione scolastica? In che misura l’istruzione in via teorica ne accresce l’immagine e, quindi, le possibilità di sopravvivenza?
Stessa sorte per l’arrotino, il guantaio, il legatore, il norcino , il materassaio, l’ombrellaio, la ricamatrice, il selciatore, il sellaio, lo scopettaio, il seggiolaio, lo scalpellino e via dicendo. Mestieri “fuori moda”.
Vecchio ma nobile, eppure non piace
Il gap è in buona parte concettuale. Le nuove generazioni sono cresciute e cresceranno con lo spettro della crisi economica. Il dislivello sociale è alimentato dai nuovi “ricchi”, quelle figure privilegiate che hanno fatto fortuna con i social, con l’e-commerce, col business online. Il messaggio implicito è che si possono avere soldi e fama senza la gavetta, senza sacrificio, spesso senza una reale, copiosa istruzione. I vecchi, nobili, mestieri di una volta non attraggono nessuno. Non sono “appetibili”.