Un anno fa in questo periodo la lotta al Coronavirus, che da pochissimo tempo aveva iniziato a fare sentire la propria presenza in Italia, era appena iniziata. Lockdown, restrizioni, chiusure, ospedali al collasso. Tra le immagini simbolo di allora c’era anche quella di un’infermiera addormentata al pc con la mascherina alla fine di un massacrante turno di lavoro. Il volto era quello di Elena Pagliarini, infermiera del pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, diventata simbolo della lotta alla pandemia nella prima ondata.
Oggi, a un anno preciso da quei drammatici momenti e al ritorno, in prossimità delle festività pasquali, della maggior parte del Paese in zona rossa (tranne per sette regioni e metà dell’Abruzzo in zona arancione e Sardegna in zona bianca), cosa è cambiato?
Indubbiamente c’è maggiore consapevolezza, soprattutto da un punto di vista scientifico, del virus che si sta combattendo. Dalla fine di dicembre 2020 è iniziata anche la campagna vaccinale che al momento vede l’utilizzo di tre vaccini Pzifer, Moderna e AstraZeneca, quest’ultimo sospeso poche ore fa in via cautelativa. Ma si attende l’arrivo di oltre 20 milioni di dosi del vaccino americano Johnson & Johnson, che a detta degli esperti, dovrebbe garantire il completamento del piano vaccinale nei prossimi mesi.
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I numeri dei contagi e dei morti sono ancora alti, però, come le restrizioni. Migliaia di posti di lavoro persi, oltre 5 milioni di persone nella povertà assoluta: un dato simile non si leggeva da oltre dieci anni. Tra i settori più colpiti sicuramente quello della ristorazione, della cultura, dello spettacolo. In crisi anche il mondo dell’istruzione. Le scuole sono chiuse, anche se sono rimaste aperte in momenti peggiori di questi e alcuni particolari studi dimostrano che l’indice rt sarebbe molto basso nei plessi scolastici. I nostri ragazzi, dai più piccoli ai più grandi, non stanno comprendendo granché. Ad ogni modo, fino al 6 aprile si sta in Dad e a casa.
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È facile quindi capire perché oggi la foto simbolo di un paese come l’Italia non sia più quella di un operatore sanitario in prima fila a combattere il virus ma sia quella di una ristoratrice romana disperata, Camilla Moccia, ventiduenne, titolare di un piccolo bistrot a Ostia. Testa appoggiata alle ginocchia, lo sguardo verso terra: uno scatto che in poche ore è diventato il simbolo di una categoria.
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La popolazione italiana è consapevole di dover combattere e convivere, con l’adozione di tutte le misure necessarie, con un virus che da decenni non mostrava una simil potenza a livello globale. Quello però che non si comprende è l’alea di confusione derivante da coloro che dovrebbero garantire sicurezze, diritti e certezze, quali le istituzioni. Il mutamento di Governo in piena crisi pandemica e inizio della campagna vaccinale non è bastato a ingenerare un clima di sfiducia da parte della popolazione italiana nei confronti di chi dall’alto ci dice cosa fare.
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Quello che si è visto con la faccenda relativa al vaccino AstraZeneca è un esempio lampante di come qualche problemino a livello di comunicazione ci sia. Dapprima la sospensione di un lotto del vaccino, poi rassicurazioni la mattina per poi sospendere completamente il vaccino in via cautelativa il pomeriggio. È ovvio (e sarebbe strano il contrario) che nonostante il rispetto delle regole imposte e che limitano la libertà personale in nome del “più alto” diritto alla salute, i cittadini italiani siano, non solo sfiduciati, ma vivano in una bolla di insicurezza sul proprio futuro sotto ogni aspetto: personale, familiare e lavorativo. Sarebbe quindi il caso, ora, di ottenere risposte serie, certe, durature sotto ogni profilo e impegnarsi concretamente per garantire a tutti gli italiani di essere messi nelle condizioni di poter vivere in maniera dignitosa. Fino a quando si potrà andare avanti con sussidi e contributi?
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