A distanza di circa un anno e mezzo dall’inizio dell’escalation di contagi da Covid, la comunità scientifica mondiale è ancora impegnata a risolvere quesiti e interrogativi senza risposta. Tra le dinamiche ancora in fase di studio vi sono quelle legate a quei soggetti che, per ragioni non ancora note, sembrerebbero essere immuni al virus.
Sono frequenti i casi di persone venute a stretto contatto con contagiati, anche con alta carica virale, risultati negativi all’agente patogeno. Nel corso dei mesi sono stati compiuti studi specifici al riguardo, di cui l’ultimo in ordine di tempo realizzato dagli scienziati della University College of London. Durante la fase di esame dei campioni di pazienti Covid, al fine di valutare la durata dell’immunità data dall’infezione, è emersa la presenza di anticorpi che reagivano al Sars-Cov-2 nei campioni di sangue di persone che non si erano mai infettate.
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La spiegazione scientifica fa affidamento al sistema immunitario, il quale riconoscerebbe il nuovo coronavirus per somiglianza ai coronavirus precedenti, che già conosce. Sarebbe dunque in grado di identificare quella componente della proteina spike che accomuna tutti i coronavirus.
Un secondo studio ha coinvolto il Center for Infectious Disease and Vaccine Research del Jolla Institute for Immunology, in California, ed è stato poi pubblicato sulla rivista scientifica Cell. Sono stati confrontati i campioni di sangue di venti pazienti positivi al Covid con altrettanti mai ammalati. Al termine dei test sono giunti alla conclusione che l’immunità potrebbe dipendere da precedenti infezioni di coronavirus differenti. Ecco allora che le teorie combacerebbero.
E qui arriviamo all’indagine condotta in Italia dall’Università di Tor Vergata. Lo studio è stato condotto al contrario, vale a dire a partire da quei soggetti che, una volta contratto l’agente patogeno, si ammalano più gravemente di altri. Secondo il team di scienziati che fa capo al professor Giuseppe Novelli, il 10% dei soggetti che sviluppano forme gravi presenta un difetto genetico sulla produzione dell’interferone, cioè la prima linea di difesa prodotta dal nostro organismo. Se la teoria fosse corretta, di conseguenza i soggetti immuni vanterebbero una imponente produzione di interferone.