È arrivato l’ok anche dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), dopo l’autorizzazione dell’EMA. Parliamo della pillola Pfizer Paxlovid, farmaco antivirale per la cura del Covid 19 e che presto sarà disponibile anche in Italia.
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Il farmaco orale antivirale, autorizzato un mese fa dagli Stati Uniti, “che nello studio registrativo si è dimostrato efficace nel ridurre dell’88% il rischio di ospedalizzazione e morte”, è indicato per il trattamento di pazienti adulti con infezione recente da SARS-CoV-2 con malattia lieve-moderata che non necessitano ossigenoterapia e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di COVID-19 severa.
“Il trattamento deve essere iniziato entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi per 5 giorni”, spiega l’Aifa. Le modalità per la selezione dei pazienti e per la prescrivibilità e distribuzione del farmaco «saranno le stesse già stabilite per l’altro antivirale orale (molnupiravir)». È previsto l’utilizzo di un Registro di monitoraggio, che sarà accessibile sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco.
La raccomandazione di Ema si basa su uno studio che ha coinvolto 2mila volontari. A un gruppo è stato somministrato Paxlovid, a un altro un placebo, sempre entro cinque giorni dalla comparsa dei primi sintomi. Nel mese seguente solo lo 0.8% dei pazienti a cui era stato somministrato il farmaco erano stati ricoverati per oltre 24 ore contro il 6.3% di chi non lo aveva assunto. Inoltre, nessun decesso nel gruppo Paxlovid contro nove morti in quello non trattato. L’azienda ha dichiarato dunque che l’impiego del farmaco ridurrebbe, a 28 giorni dalla positività, le probabilità di ricovero e morte dell’89% nei pazienti a rischio se somministrato entro tre giorni dall’esordio dei sintomi. Percentuale simile, 88%, se somministrato invece entro cinque giorni. Per i pazienti non particolarmente a rischio la riduzione si collocherebbe intorno al 70%. Come logica conseguenza della sua azione, il Paxlovid abbatte rapidamente la carica virale: al quinto giorno dall’insorgenza dei sintomi è apparsa ridotta di dieci volte sia nei pazienti ad alto rischio sia in quelli non ad alto rischio.