Bosnia, 2021.Fango, neve, ghiaccio. Disperazione, dolore, miseria, angoscia.
Siamo a Lipa, nel nord ovest della Bosnia Erzogovina, vicino al confine con la Croazia, al campo per “accoglienza” migranti. Le virgolette sono d’obbligo. Manca l’energia elettrica, l’acqua potabile e l’acqua corrente calda. Ci si lava con l’acqua ghiacciata o, al limite, con la neve sciolta. Ci sono donne, bambini, neonati, anziani. I più fortunati hanno le scarpe, altri le ciabatte. Altri sono scalzi. Gli aiuti umanitari non sono più sufficienti, i medici delle associazioni internazionali sono pochi e male attrezzati. Operano a mani nude, provano, come possono, a guarire ipotermie e geloni.
Lo scorso 23 dicembre, col Natale alle porte, ricorrenza che per antonomasia richiama alla misericordia e alla solidarietà, il campo è andato a fuoco, provocando la distruzione della maggior parte delle tende che ospitavano quasi 1.500 migranti. Gli stessi che, per scappare alle lingue di fuoco, hanno trovato riparo nella foresta adiacente le fatiscenti strutture indicate per il loro rifugio. Secondo le stime dell’OIM, circa 3.000 le persone bisognose d’aiuto o assistenza dopo la devastazione. “Questo è uno scenario da incubo: queste persone dovrebbero trovarsi all’interno in condizioni di caldo, proprio come sta facendo il resto d’Europa in questo periodo di vacanza“, affermò Peter Van der Auweraert, capo missione dell’OIM nel paese.
Chi sono quei migranti? Persone cacciate, respinte o escluse dai paesi limitrofi come Italia, Slovenia, Croazia, Lettonia. La maggior parte, però, proviene da paesi come Afghanistan e Pakistan. In fila, sotto la neve, al gelo, per ricevere un pasto caldo che, con le basse temperature che vi sono, impiega poco a rifreddarsi. Dentro il pacchetto c’è della frutta, dello yogurt, una scatoletta di tonno, un po’ di pane. Come riportato da diverse testate internazionali, l’OIM e i partner umanitari, tra cui la Croce Rossa e il Consiglio danese per i rifugiati, hanno già distribuito forniture vitali, compresi vestiti pesanti, sacchi a pelo, cibo e kit per l’igiene a circa 1.500 persone colpite. Il tutto, però, senza risolvere la situazione. Quella spetta alla politica, agli accordi internazionali.
Così Nello Scavo, giornalista dell’Avvenire, sulle pagine di VaticanNews. “Si tratta purtroppo di una emergenza annunciata. Questo è il terzo anno di fila con i campi abbandonati a se stessi a ridosso del confine croato e ci sono almeno 3000 persone che vagano tra le località di Bihac e Lipa, presso quest’ultimo campo in particolare era stata incendiata una tendopoli nel corso di alcuni scontri tra migranti alla vigilia di Natale. Attualmente vi sono circa 900 persone, che hanno bisogno di aiuto urgente perché gli vengano fornite quanto prima delle tende sotto cui ripararsi. La Caritas internazionale, e quella italiana hanno inviato i giorni scorsi, sei camion carichi di legna da ardere e questa cosa da sola ci racconta la drammaticità della situazione. C’è un conflitto politico interno alla Bosnia, e c’è il blocco costante sul confine croato con i pattugliamenti della Polizia delle guardie di confine che respingono quei migranti che provano a raggiungere quel paese per tentare poi di arrivare in Europa, quindi è veramente una situazione difficilissima”.
Di fronte a questa tragedia l’Europa non può restare indifferente. Non è accettabile assistere a tutto ciò e permettere all’Europa di macchiarsi di una simile colpa, che resterà nella storia. Quello della rotta balcanica è il confine della disumanità. Non è una questione politica. È una questione etica, morale, umana.